Un garibaldino sui generis
di Donato D’Urso
Giuseppe Alessandro Piola nacque ad Alessandria il 13 giugno 1825. I genitori appartenevano alla classe nobiliare e nel 1837 il re Carlo Alberto concesse ai sei figli maschi e alle quattro figlie femmine di aggiungere a quello paterno il cognome Caselli della madre.
Il Nostro s’avviò alla carriera militare in marina, mentre alcuni fratelli entrarono nell’esercito. Compì le prime crociere nautiche nel Mediterraneo e poi nel Mar del Plata, dove ebbe modo di apprezzare le gesta e conoscere di persona un certo Giuseppe Garibaldi suddito sardo, schierato a fianco del governo di Montevideo in una delle tante guerre sudamericane. Gli italiani emigrati s’arruolarono in una Legione che si fece onore nei combattimenti. Da allora i rapporti tra Garibaldi e Piola Caselli furono di stima e cordiale amicizia.
La carriera militare dell’ufficiale piemontese proseguì tra esperienze belliche (guerre d’indipendenza e spedizione in Crimea) e lunghi periodi di imbarco lontano dall’Italia.
Il successivo incontro tra Garibaldi e Piola Caselli avvenne nel settembre 1849. Reduce dall’avventurosa fuga dall’Adriatico verso il Tirreno, per sfuggire alle truppe straniere che gli davano caccia spietata, dopo che s’era allontanato da Roma alla fine della Repubblica, Garibaldi era approdato sano e salvo nel regno di Sardegna, in Liguria. Commentò il generale Alfonso Lamarmora: «Come abbia riuscito a salvarsi questa ultima volta è veramente un miracolo». Il governo di Torino, preoccupato anche per le reazioni internazionali, tenne Garibaldi segregato nel Palazzo Ducale di Genova, poi a bordo della fregata San Michele, prima di consentirgli di recarsi a Nizza per salutare i familiari. La nave San Michele aveva quale comandante un ufficiale di marina che incontreremo ancora, Carlo Pellion di Persano (definito «cavalleresco» da Garibaldi nelle sue memorie) e, in subordine, Giuseppe Alessandro Piola Caselli.
Gli incontri ravvicinati ripresero nel 1860. Cavour seguiva con grande attenzione gli eventi siciliani, prima il moto insurrezionale di aprile, poi la spedizione di Garibaldi partita da Quarto. Piola Caselli, al comando dell’avviso veloce Authion, fu inviato a navigare nelle acque siciliane, osservando e riferendo a Torino. L’ufficiale prese l’abitudine di scendere a terra in abiti borghesi, per osservare de visu quanto accadeva e cercare contatti con gli elementi ostili al governo napoletano. Naturalmente, tale attività non riusciva molto gradita alle autorità borboniche. Tra gli ufficiali della marina militare delle due Sicilie covava il malessere, come dimostrarono gli avvenimenti successivi: parecchie dimissioni volontarie, persino clamorose diserzioni come quella del comandante Amilcare Anguissola che consegnò all’ammiraglio Persano la pirofregata Veloce, che fu ribattezzata Tukery per onorare l’ufficiale ungherese caduto nella presa di Palermo.
In quell’anno fatale Cavour compì un capolavoro politico-diplomatico, sostenendo, sfruttando e infine soffocando la rivoluzione, con la tolleranza delle grandi potenze europee. Dopo iniziali perplessità, consentì che ufficiali della marina sarda lasciassero temporaneamente il servizio attivo, per passare sotto il comando di Garibaldi, che aveva disperato bisogno di ufficiali e specialisti. Da un lato il governo di Torino si guadagnava l’altrui riconoscenza, dall’altro inseriva persone fidate nell’entourage garibaldino. Piola Caselli fu nominato segretario di Stato della marina siciliana e, riallacciati i legami con Garibaldi, fece da trait d’union tra il condottiero e il governo piemontese. Rimaneva però fuori discussione la sua lealtà verso la corona.
La flotta napoletana, sulla carta, era un avversario temibilissimo indebolito, però, da spinte centrifughe. Proprio la citata nave Tukery in luglio catturò presso Messina due vapori e nella notte tra il 13 e il 14 agosto tentò addirittura di impadronirsi, nel porto di Castellammare di Stabia, del vascello borbonico Monarca, potente nave da guerra dotata di 64 bocche da fuoco. Il comandante napoletano Giovanni Vacca aveva preso accordi segreti con l’ammiraglio Persano per favorire l’impresa, ma quella notte ritenne opportuno non farsi trovare a bordo, eccependo problemi di salute. In sua assenza, il vice Guglielmo Acton e l’equipaggio s’opposero al tentativo di abbordaggio. Nella notte le cannonate s’udirono sino a Napoli e lo stesso re Francesco II corse sulla terrazza a mare del palazzo reale per osservare, temendo che fosse in atto uno sbarco di garibaldini. La sfortunata operazione navale, condotta sotto il diretto comando di Piola Caselli, si concluse con doloroso bilancio di morti e feriti.
Alla fonda nel porto di Castellammare di Stabia c’erano anche legni da guerra inglesi e francesi e, come ha scritto Giuseppe Bandi, «si erano messi in ordine di combattimento […] La corvetta garibaldina venne spinta dal vento in vicinanza d’una fregata inglese e quella vicinanza la fece salva».
Piola Caselli tese a scaricare su altri l’esito infelice dell’attacco notturno, in particolare sui marinai siciliani imbarcati e avrebbe pronunciato le parole: «Bisognerebbe fucilare tutto l’equipaggio, e non solo questo, ma fucilare tutta la Sicilia!». Per la cronaca, pochi mesi dopo, a seguito del crollo del regno delle due Sicilie, la nave Monarca entrò a far parte della marina militare sarda col nome di Re Galantuomo e, una decina d’anni dopo, ebbe come comandante proprio Piola Caselli.
L’esperienza di quest’ultimo al Sud fu breve ma intensa, nei mesi in cui Agostino Depretis rivestiva il ruolo di pro-dittatore a Palermo. Piola Caselli raggiunse infine Garibaldi a Napoli, ma quando esplose il contrasto tra chi voleva e chi s’opponeva all’immediata annessione della Sicilia al regno di Sardegna, ritenne che la sua posizione personale non fosse più sostenibile e presentò le dimissioni. Dal 1° novembre 1860 rientrò nei ranghi della marina sarda, a dimostrazione che l’esperienza “rivoluzionaria” nel Meridione era stata svolta non contro ma d’intesa col governo di Torino. Cavour gli scrisse così: «Lodo la S.V. per aver dato la sua dimissione quando il Dittatore persistette a non voler l’annessione della Sicilia. Ella ha agito da ufficiale d’onore, non mi aspettavo meno da lei». Tra i garibaldini non mancò chi, come Alberto Mario, manifestò poca simpatia verso Piola Caselli sospettandolo di “doppiogiochismo”.
Le vicende belliche di quel tempo coinvolsero un altro Piola Caselli, Carlo ufficiale dell’esercito che, all’inizio del 1861, partecipò alle trattative di resa della fortezza borbonica di Gaeta.
La carriera militare di Giuseppe Alessandro Piola Caselli proseguì senza scossoni sino alla drammatica giornata di Lissa (20 luglio 1866). Le sfortunate vicende dello scontro navale con la flotta austriaca coinvolsero in polemiche e inchieste buona parte dell’ufficialità italiana, compreso il comandante in capo ammiraglio Persano e il contrammiraglio Giovanni Vacca. Quel giorno a Lissa Piola Caselli era al comando della pirofregata corazzata Ancona.
Nel settembre 1866 partecipò alla spedizione, arrivata dal mare agli ordini del generale Raffaele Cadorna, per reprimere la sanguinosa rivolta di Palermo, durata sette giorni e mezzo, con bilancio di centinaia e forse migliaia di morti. L’anno dopo Piola Caselli fu incaricato di pattugliare le acque laziali, per impedire un ipotetico sbarco garibaldino. L’ufficiale assolse con disciplina il delicato compito, rischiando di doversi opporre con la forza al vecchio amico. Quella rimase però un’operazione solo dissuasiva, poiché l’attacco di Garibaldi avvenne in terraferma, con esito infausto a Mentana.
Raggiunti i massimi gradi della gerarchia militare, negli ultimi anni Piola Caselli fece parte del Consiglio superiore di marina e patrocinò l’istituzione dell’Accademia navale di Livorno.
In età matura sposò una giovane nobildonna russa, appartenente alla famiglia Uvarov, ricordata in Guerra e pace di Tolstoj e ne ebbe il figlio Alessandro, che, nella prima guerra mondiale, fu valoroso pilota d’aereo.
Giuseppe Alessandro Piola Caselli, collocato a riposo nel 1882 e decano della marina militare italiana, morì a Torino il 7 maggio 1910. Dopo i solenni funerali, la salma fu traslata a Livorno1.
Certamente non era stata una vita noiosa.
1 Sul casato Piola Caselli è consultabile il sito http://www.piolacaselli.altervista.org con ricca documentazione.